24 Maggio 2023

Drolè, il “fratellino” di Eto’o ripartito dalla D: “Giocavamo con scarpe bucate”

Dagli inizi in Costa d'Avorio alle partite con Eto'o e Pedri. La nostra intervista a Jean Armel Drolè, esterno d'attacco dell'Alma Juventus Fano.

La morte dei genitori durante la guerra, la fuga in Europa e l’incontro con Eto’o che gli cambierà la vita. Jean-Armel Drolè le sue prime scarpe da calcio le ha conservate gelosamente fino ad oggi. Sono bucate, mezze distrutte. Hanno addosso le cicatrici delle partite giocate in mezzo alla strada nella sua Abidjan, in Costa d’Avorio. “Le ho tenute sempre con me ovunque sono andato, mi danno tanta forza – racconta l’esterno dell’Alma Fano a SerieD24.com – .Quando le guardo mi ricordano da dove vengo. E se conosci da dove vieni, sai dove vuoi arrivare“.

Junior (come lo chiamano tutti) è cresciuto in una Costa d’Avorio dilaniata dalla guerra civile che gli portò via il padre (era un militare). A 16 anni il suo arrivo in Italia da orfano (la madre infatti morì quando aveva 13 anni). Senza certezze ma con un sogno: “Volevo solo giocare a calcio“. Drolè trova subito una comunità pronta ad accoglierlo. La “nuova mamma” la signora Angela, un’assistente sociale di Palermo, però prova a convincerlo a concentrarsi esclusivamente sullo studio: “Diceva che mi avrebbe dato più opportunità“. E Drolè quel consiglio lo seguì alla lettera: “Studiavo con grande intensità, a scuola andavo molto bene e avevo degli ottimi voti“. Ma in fondo nel suo cuore, continuava a cullare il sogno di diventare calciatore.

Drolè, l’inizio del viaggio e il rapporto con Eto’o: “Ci sfidavamo nei tiri da fuori area”

Per Drolè le porte del calcio si aprirono in un modo decisamente singolare. Passeggiando per Palermo fermò un uomo chiedendogli indicazioni per lo stadio Barbera. Voleva effettuare un provino: “Non sapevo come funzionasse in Italia, per me l’importante era solo giocare. Ogni giorno poi è stata una scoperta“. Quell’uomo si chiamava Massimo Tutrone, dirigente di una squadra locale. Decide di prendere il ragazzo sotto la sua ala protettiva, allenandolo per farlo diventare un calciatore vero. Oggi Junior lo chiama papà: “Volevo giocare ad alti livelli, lui diceva che un giorno ce l’avrei fatta. Mi ripeteva sempre: ‘Con calma ci arriveremo, stai tranquillo‘. – racconta ridendo – Poi un giorno arriva una chiamata da un suo amico, Claudio Mossio, un procuratore. Da lì è partito il viaggio“.

Un viaggio che per Drolè ha molte tappe. La più importante e suggestiva è in Turchia, dove all’Antalyaspor diventa compagno di squadra di una leggenda del calcio africano: Samuel Eto’o:Quando l’ho visto per la prima volta mi ha chiamato subito con lui. ‘Ehi ragazzo, andiamo’. Ho pensato: ‘Cosa?! Lui giocava al Barcellona ed ora è qui con me?.” Tra i due si instaura fin da subito un bellissimo rapporto: “Era sempre disponibile, era come se fossi il suo fratellino. Aveva sempre la porta aperta per me quando avevo bisogno. Volevo imparare tutto da lui. Ogni giorno, dopo gli allenamenti, ci fermavamo un’oretta in più e mi insegnava come migliorare nel tiro dai 20 metri e calciare la palla di piatto. Facevamo delle sfide nel fare gol da fuori area ma vinceva sempre lui, l’ho battuto solo una volta“.

Drolè: “Primo gol indimenticabile. Podolski? Era impressionante”

Uno dei momenti che Junior racconta con maggiore orgoglio è il suo primo gol tra i professionisti, il 18 dicembre 2015. Pierpaolo Bisoli gli dà fiducia e lui, appena 18enne, lo ripaga come si deve: “Ricordo bene quel momento, eravamo sotto 1-0 contro il Livorno e segnai la rete del pareggio. Mi sembrava di sognare“. Quella partita finì 4-1 per il Perugia con Drolè che, dopo il gol, firmò anche tre assist. Un anno e mezzo dopo si trasferì in Turchia.

Il campionato turco negli anni diventa meta calcistica di diversi campioni in fase calante. Così Drolé all’Antalyaspor si ritrovò a condividere lo spogliatoio con giocatori del calibro di Nasri e Menez. Chi lo impressionò di più? Lukas Podolski: “La disciplina per lui era tutto, mi ha fatto capire cosa vuol dire essere professionista a questi livelli. Quando calciava da fermo era una cosa impressionante. Tirava da 30 metri da fermo e faceva gol. Incredibile“. Poi il passaggio al Las Palmas e l’occasione di giocare con un futuro fenomeno ancora sconosciuto al grande pubblico: “Pedri era devastante nel modo in cui toccava palla. Aveva 16 anni, neanche un minuto tra i professionisti, ma quando giocava sembrava un 28enne con alle spalle 300 partite“.

Drolè, il Fano per ripartire dopo il calvario: “La famiglia è la mia forza”

Gli ultimi due anni per “Junior” sono stati decisamente complicati. In Spagna, nel momento forse più importante della sua carriera, comincia un lungo e sfortunato calvario di infortuni: “Nel Las Palmas mi si stava aprendo un mondo. Il direttore sportivo mi disse che diversi club di Liga erano interessati a me, in primis il Betis. Avrebbero inviato degli osservatori a guardarmi nella prossima partita. Il giorno della vigilia facciamo la classica rifinitura e a 10 minuti dalla fine dell’allenamento mi rompo tibia e perone“. Da lì una parabola discendente che, dopo una breve parentesi a Cipro, lo ha portato oggi a giocare nell’Alma Juventus Fano, in Serie D: “È stata una rinascita. Mi sono trovato bene fin da subito, ho ripreso ritmo dalla seconda parte di stagione fino alla finale dei play-off. Quest’anno è una ripartenza per me”.

Chi lo ha sempre spinto a non mollare è la sua famiglia. E quando si parla della compagna e dei suoi due figli, la voce di Junior comincia a tradire una certa emozione: “Sono tutto per me, in loro trovo la forza. In Spagna, subito dopo l’operazione, non riuscivo a muovere la gamba. Ero frustrato. Un giorno la mia compagna era andata a fare la spesa ed io rimasi a casa senza poter fare nulla. Mia figlia piccola in quei minuti si prese cura di me. Mi aiutò ad andare in bagno e poi tornò sul divano ad abbracciarmi. In quel momento mi sono detto: ‘Ok, ora mi devo rialzare“.

Drolé conclude parlando dei suoi obiettivi per il futuro: “Sono rimasto lo stesso in tutti questi anni, con umiltà e tanto lavoro. Quando penso a tutta la sofferenza che ho vissuto, dalla comunità ai momenti in cui ero da solo, capisco che devo andare avanti. Voglio arrivare al massimo possibile.” Il suo sogno? Facile:Giocare nella nazionale della Costa d’Avorio“. Lì dove tutto è cominciato, da un paio di scarpette bucate.

A CURA DI DAVIDE LUSINGA