Consapevolezze – Erba: “Rinascere”

Fausto Erba con la sua famiglia
Ero in Australia a giocare. Un giorno è arrivata la chiamata da casa. “Gli esami di papà hanno dei valori che non vanno bene”. Non mi avevano detto che aveva un cancro. Pochi giorni prima io e Samira, la mia compagna, avevamo fatto un tentativo con la fecondazione in vitro. Era il quarto. Ma dopo quella notizia, la priorità era diventata un’altra. Mio padre non stava bene, io ero dall’altra parte del mondo.
Cancro. Tumore al quarto stadio. Metastasi. Quelle parole mi picchiavano in testa. Continuamente. La settimana dopo quella telefonata, Samira è rimasta incinta. Saremmo diventati genitori. Qualcosa di incredibile. Anni a provarci, anni di delusioni. E tutto stava per cambiare proprio dopo quella brutta notizia. Come se dalla malattia di mio papà fosse in qualche modo iniziata la vita della nostra piccola. Non ho avuto neanche il tempo di pensare a cosa stesse succedendo, a provare dolore per lui o gioia per mia figlia. Non potevo permettermelo, non c’era tempo.
Io e la mia compagna eravamo disorientati. Io pensavo di tornare, ma in quella fase c’erano i miei che ci dicevano di restare in Australia. “Non venire in Italia, vediamo prima come vanno queste settimane”. Sentirli così e vedere che stava rispondendo bene alle chemio mi ha dato forza e siamo rimasti lì. E nello stesso tempo mio padre trovava energia nell’idea della gravidanza. Ci sostenevamo a vicenda.
Poi è arrivato l’ultimo mese della gravidanza. Dopo la terza dose del vaccino per il Covid, mio padre non rispondeva più alle vecchie terapie. Era una fase di stallo. I giorni passano, nasce Anastasia. “Papà vieni in Australia, vieni da noi a trovare la tua nipotina”. Quando è arrivato in aeroporto siamo scoppiati a piangere, stretti in un abbraccio. Il tempo si era fermato. Vedere la sua nipotina per lui è stata un’emozione indescrivibile. Ci siamo goduti al massimo tutti i momenti. Avevo la sensazione che potesse essere una delle ultime volte. Dopo due mesi è iniziato a peggiorare. “Torniamo”. Quando siamo arrivati in Italia era un’altra persona, l’ho visto davvero male. Avevo capito che mancava poco. Aveva iniziato le cure palliative. Dopo 40 giorni dal nostro ritorno, è morto. In quelle ultime settimane insieme siamo riusciti a dirci quello che non ci eravamo mai detti. Io non ero mai stato un figlio che parlava molto. Mi sono aperto completamente in quei giorni. In quell’anno sono cresciuto tanto dal punto di vista emotivo e personale.
La malattia è stata un’esperienza di vita importante. È stata paradossalmente un’opportunità per cambiare, crescere, diventare davvero uomo. Ho cercato di stare più tempo possibile con lui, fargli mille domande. Quante serate a chiacchierare, giocare a carte. Mi sarebbe piaciuto passare più momenti con lui. Ma ci siamo detti tutto quello che dovevamo. A ripensarci, è incredibile. Non riuscivamo ad avere una figlia. Poi è arrivata la malattia di papà. Da lì è nata, figlia del ciclo della vita. La gravidanza ha dato forza a lui, lui ha dato forza a noi. È stato il primo della nostra famiglia a vederla. In quei giorni ci siamo aperti come mai fatto prima. In quei giorni sono diventato uomo. Io in lei rivedo lui. E sorrido.

Combattere
E sorrido se ripenso al percorso mio e della mia compagna per diventare genitori. Dopo due anni a provarci, abbiamo fatto degli esami. Avremmo potuto avere figli, ma sarebbe stato difficile. Abbiamo scelto di provare con la fecondazione in vitro. I primi tentativi non sono andati bene. Psicologicamente è stata dura. Dopo un tentativo dovevi aspettare settimane. “Non arriverà mai? Se va male ancora?”. Eravamo demoralizzati, desideravamo un figlio.
Dopo il primo tentativo la clinica ci aveva chiamato per dirci che la fecondazione era andata a buon fine. Dopo qualche giorno ci avvisarono che gli esami del sangue non andavano bene. Ricordo le lacrime tra me e lei. Siamo stati bravi a non mollare, non è un cammino semplice. Soprattutto per la mamma. Le punture, gli ormoni, scontrarsi con i tentativi andati male. Ogni volta era una batosta. Samira è stata incredibile.
Vita
sIn quei mesi ci siamo fatti aiutare da degli psicologi. Io prima del parto, lei dopo. Io decisi di andare dopo una crisi di panico in cui mi resi conto di aver perso il controllo. “Ho bisogno di aiuto”. Da lì ho iniziato ad affrontare me stesso, a conoscermi. Ho scoperto un mondo nuovo. Ho imparato ad accettare le situazioni, riconoscere e dare un nome alle emozioni, a gestire diversamente il giudizio degli altri, a dare la giusta importanza alle cose.
Ma torniamo alla nascita di Anastasia. Ho assistito al parto e ho tagliato il cordone. Quando è nata è stata un’esperienza incredibile. Poi in estate Samira è rimasta incinta naturalmente per la seconda volta. Pochi giorni fa è nata Isabella. A differenza del primo, è stato un parto naturale in acqua. Assistere è stata una botta emotiva indescrivibile. Ho visto e vissuto la forza di una donna, la forza della natura esprimersi nella sua espressione e bellezza più alta e nobile. Ho la fortuna di avere al mio fianco una donna incredibile. Samira mi è sempre stata vicina e mi ha sempre capito. Rifarei questo percorso con lei altre mille volte. È unica, non esiste un’altra persona come lei.

Calcio, stavo per dirti addio
Il primo ricordo con pallone all’oratorio di Lambrugo. I cellulari non esistevano, giocavamo a muretto, a mattonella o a undici. Mi volevo solo divertire con i miei amici. Dopo qualche anno sono andato a Como e a 16 anni in Serie D alla Canzese. Lì sono iniziati i problemi alla schiena. Non trovavo una soluzione. Due sole presenze, a fine anno il pensiero di smettere. A fine stagione mi avevano confermato, ma decisi di mollare e andare a lavorare in fabbrica facendo i turni.
“Se smetti devi cercare un lavoro”, la raccomandazione di mamma e papà. L’idea era di smettere definitivamente, poi mi ha chiamato un mio ex allenatore e sono andato a giocare in Seconda Categoria a Bulciago. È lì che ho segnato il primo gol. Ricordatevi di questo. Bulciago, primo gol. I giri del destino sono incredibili. In quel periodo ho capito la causa del problema alla schiena che era legato ai piedi. Facendo dei plantari ho risolto tutto. Risultato? 17 gol in un girone.
Cuore australiano
Dopo tre anni sono tornato in Serie D, una rivincita personale. Passano le stagioni, a 29 anni arriva un chiamata dall’ex compagno Claudio Pelosi: “Cosa ne pensi di un’esperienza in Australia?”. In tre giorni ho detto sì. Io e Samira ci siamo guardati: “Andiamo”. I primi tre mesi sono andato da solo. Mi sono allenato con questa squadra, non è andata bene e decidono di scartarmi. Non me l’aspettavo, sono rimasto spiazzato. Ho fatto 5 allenamenti di numero. “Non ti tesseriamo”. Mi sono trovato in un appartamento senza corrente, i documenti da fare, una lingua che non conoscevo. “Quanta confusione che ho in testa”. Tutto da solo. “Cosa faccio? Lascio tutto? Magari torno in Italia”. “No, un’occasione così non ricapita”.
Non ho mollato, mi sono allento da solo per settimane. Squilla il telefono: “C’è una squadra in C australiana che sta cercando un attaccante. “Vado”. Inizia la mia avventura all’Adelaide Olympic. Durerà 8 anni. Il giovedì il primo allenamento, la sera la scelta di prendermi. Il sabato all’esordio una doppietta. Tutto si era ribaltato.
Segno 35 gol, vinciamo i playoff e saliamo in Serie B. L’ultima giornata il ricordo calcistico più bello della mia vita. Conquistammo la qualificazione negli ultimi minuti. Un’esplosione di gioia incredibile. Ho i brividi a pensarci. Nelle stagioni successive abbiamo vinto per due volte la Coppa statale del Sud dell’Australia. Era diventata la mia seconda casa. La nostra casa.
Poi quella chiamata. Quando sono tornato in Italia il calcio era l’ultimo dei miei pensieri. Avevo tante altre priorità. Sono andato a giocare nella squadra del mio paese, è stato bello così. Quest’anno a Costamasnaga ho segnato il mio trecentesimo gol e l’ho fatto proprio a Bulciago, lo stesso campo in cui avevo fatto il primo. La prima cosa a cui ho pensato è stato a mio papà che mi guardava. È sempre stato il mio primo tifoso. Papà, è per te. Grazie. Ti voglio bene.