Guido Zenga: “Cinque anni di battaglie e famiglia. Anzio resterà sempre dentro di me”

L’intervista di Seried24.com a Guido Zenga, ex direttore sportivo dell’Anzio
Di solito, quando si parla di un direttore sportivo, si pensa a numeri, contratti, calcoli. Ma per cinque stagioni, ad Anzio, Guido Zenga è stato molto più di questo. È stato il custode di un’identità, l’uomo delle scelte silenziose ma decisive, il punto fermo in mezzo al mare di un progetto tecnico che sembrava destinato ad affondare – e che invece ha risalito la corrente fino a riaffermarsi con orgoglio nel calcio laziale.
Zenga si è dimesso lo scorso marzo. Non per stanchezza, né per mancanza di risultati. Ma per coerenza, lucidità e amore. E oggi, a distanza di qualche settimana, riavvolge con noi il nastro di cinque anni vissuti come una seconda pelle, tra lacrime, traguardi e legami che non si spezzeranno mai.
“Sono felicissimo del risultato sportivo raggiunto – racconta Zenga – perché sento che in una certa percentuale, quel traguardo è anche mio. La decisione di interrompere il rapporto è arrivata in un momento in cui, a mio avviso, c’era bisogno di una scossa. Erano tanti anni che ero lì, legato a quei colori, e quando le cose non andavano più per il verso giusto, ho pensato che fosse giusto dare un segnale anche all’ambiente. A volte serve anche questo”.
Non una fuga, insomma. Ma una scelta ponderata, condivisa e rispettata. “Con la società ci siamo parlati fino all’ultimo: volevano trattenermi, e i rapporti oggi restano splendidi. Ma era il momento di aprire nuove strade”
La ricostruzione, il percorso, il senso: Guido Zenga
Quando Zenga arrivò ad Anzio, nel 2019, la piazza era depressa. Il club reduce da una retrocessione, il morale sotto i tacchi, la fiducia nel progetto tecnico da ricostruire. Lì, proprio lì, Guido ha cominciato a tessere. “Mi porto via cinque anni spettacolari. Quando sono arrivato, l’Anzio veniva da una retrocessione durissima. Tanti allenatori cambiati, tanta confusione. Insieme a Guida (allenatore attuale dell’Anzio) abbiamo deciso di iniziare un percorso che sapevamo difficile, ma estremamente stimolante”.
Un cammino fatto a piccoli passi e grandi emozioni: “Un terzo posto, poi un secondo, e infine la vittoria del campionato di Eccellenza. Poi due salvezze in Serie D. I numeri parlano chiaro, ma più dei numeri parlano le emozioni che ho vissuto”.
ll finale, quest’anno, è stato thrilling. Una salvezza sudata, conquistata all’ultima curva, che ha chiuso il cerchio con dignità. “L’inizio era stato oltre ogni aspettativa: a fine girone d’andata eravamo a cinque punti dal primo posto. Forse è stato quello a creare aspettative troppo alte. La verità è che l’Anzio aveva l’obiettivo di salvarsi, evitando i playout, e alla fine questo traguardo è stato centrato. Anzi, migliorando la posizione dell’anno precedente. È stato un campionato duro, ma siamo riusciti a rimanere in piedi, come sempre”.

Il mercato, l’arte del saper convincere
Con un budget sempre contenuto, Guido ha saputo fare magie, portando ad Anzio giocatori di spessore. Non con i soldi, ma con la credibilità. “Proprio per questo è stato ancora più bello. Lavorare con un budget limitato ti costringe a coinvolgere i giocatori su altro: il progetto, l’idea, l’ambiente. Portare a Anzio gente come Cori o Laribi è stato possibile perché il club è riuscito a trasmettere qualcosa. L’Anzio è diventato una famiglia allargata. E quando lo senti davvero, riesci a convincere anche chi, sulla carta, sarebbe fuori portata”.
Zenga ha inoltre sempre avuto un occhio speciale per i giovani. E alcuni, secondo lui, hanno ancora davanti il meglio. “Sì, ce ne sono. Di Mino, un 2003 che forse non sa neanche lui quanto potenziale ha. Poi Minnocci, Bartolocci… sono ragazzi che hanno fame, qualità e testa. E l’età dalla loro parte. Alcuni magari il treno l’hanno perso, ma altri sono ancora in tempo per prenderselo”.
Anche i migliori vivono qualche rimpianto. Uno, in particolare, ancora brucia. “Sì, uno su tutti: Matteo De Gol. Ci siamo andati vicini un paio di volte, soprattutto nell’anno della vittoria in Eccellenza. Era tutto fatto, poi una società più forte economicamente ce lo portò via. Era un giocatore che stimavo tantissimo, avrebbe fatto benissimo da noi”.

Nel futuro cosa c’è?
Adesso si guarda avanti. Con la stessa voglia di sempre, ma con ancora più consapevolezza. “Cerco un progetto vero. Non mi interessano le meteore, i fuochi di paglia. Voglio un ambiente che creda nel lavoro, nella programmazione, nelle idee. Il calcio fatto solo di nomi e di soldi non mi appartiene. Preferisco crescere un ragazzo e renderlo importante, piuttosto che comprare un nome altisonante e sperare che basti. Voglio costruire, non tamponare”.
Alla fine, c’è solo un modo per racchiudere l’anima di questo viaggio. “Famiglia. Perché è quello che ho sentito ogni giorno all’Anzio. E una famiglia, anche quando ci si allontana, resta per sempre”. E forse è proprio questo che resterà più di ogni vittoria, più di ogni salvezza, più di ogni firma su un contratto: un senso di appartenenza reale, umano, profondo. Guido Zenga ad Anzio ha dato tutto. E tutto quello che ha lasciato, continuerà a camminare da solo.